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LEGGENDE DELL'AMORE | IL FATO CHE DECISE L'AMORE TRA POSILLIPO E LA BELLA NISIDA

  • Immagine del redattore: Napoli è... magia
    Napoli è... magia
  • 2 lug 2019
  • Tempo di lettura: 3 min

In questo pomeriggio lungo di luglio un grande silenzio regna intorno; nelle vie abbruciate dal sole non passa alcuno; ed i cittadini dormono nel pesante assopimento dell’estate; vicino, sotto la finestra, in un tegame dove bolle lo strutto, scoppiettano e friggono certi peperoncini verdi ed arrabbiati; lontano, in una via trasversale, un organino suona un valtzer languido e malinconico; un moscone sussurra e dà di testa contro i vetri più alti della finestra socchiusa. Noi siamo tristi, ed il sangue che monta al capo, ci dà la vertigine: noi abbiamo l’anima di piombo e la bocca amara; noi abbiamo il desiderio dell’ombra profonda e delle bevande ghiacciate – perché invero ci è intorno la violenza di una passione secca e rude, perché ci sembra assistere allo spasimo e udire i singhiozzi convulsi della natura che muore nell’amore del sole. Le vie sono bianche, polverose e fulgide; le case gialle, rosse e bianche rifulgono; i colli sono splendidi di luce; il mare brilla tutto come un migliaio di specchi; sulla punta del cratere qualche cosa abbrucia e fuma ed il cielo è cupo nella sua serenità. Tutto è luce vivida, tutto è intensità di colore, ogni cosa si condensa; pare che si debbano spaccar le pietre, che le case debbano sbuzzar fuori, che le colline vogliano slanciarsi al cielo, che il mare voglia cangiarsi in metallo liquefatto e che la montagna voglia eruttare lave di fuoco – e tutto rimane immobile, tetro e grave. È per l’amore: voi certamente sapete che tutte le cose in Napoli, dalle pietre al cielo, sono innamorate.


Non conoscete la storiella dei quattro fratelli? Io ve la narrerò. Una volta, allora, allora, nel tempo dei tempi, v’erano quattro fratelli che s’amavano di cordialissimo amore e non si staccavano mai l’uno dall’altro. Erano belli, giovani, freschi, aitanti nella persona e sulle giovani teste ben s’addicevano le ghirlande di rose. Ognun di loro arse in segreto per una fanciulla, né se ne confidarono il nome; ma la sorte malaugurata riunì tutti gli amori dei quattro fratelli in una donna sola. Ella nessuno di quelli voleva amare. Asperrima guerra sarebbe sorta tra loro e sangue fraterno sarebbe stato sparso, se una notte la loro bella non fosse sparita per sempre. Ma essi, pazienti ed innamorati, l’aspettano da migliaia di anni: sono cangiati in quattro colli ameni e fioriti che dal loro nome si chiamano Poggioreale, di Capodimonte, di San Martino, del Vomero – e l’uno accanto all’altro, immobilmente innamorati, aspettano il ritorno di colei che amano. Fioriscono le primavere sul loro capo, s’infiamma l’estate, piange l’autunno, s’incupisce la nera stagione; ed i poggi non si stancano d’aspettare. Ma l’amore della bella assente è scarso al confronto dell’amore per una bella sempre presente e crudele.


La sapete voi la seconda storiella? Vi fu una volta un giovanetto leggiadro e gentile, nel cui volto si accoppiava il gaio sorriso dell’anima innocente al malinconico riflesso di un cuore sensibile; egli era nel medesimo tempo festevole senza chiasso e serio senza durezza. Chi lo vedeva lo amava; e la gente accorreva a lui come ad amico, per allietarsi della sua compagnia. Ma il bel giovanetto fu molto infelice, molto infelice; gli entrò nell’anima un amore ardente, la cui fiamma, che saliva al cielo, non valse ad incendere il cuore della donna che egli amava. Era costei una donna di campagna, cui era stato dato in dono la bellezza del corpo, ma a cui era stata negata quella dell’anima: ella era una di quelle donne incantatrici, fredde e sprezzose che non possono né godere, né soffrire.


Paiono fatte di pietra, di una pietra levigata, dura e glaciale; vanno in pezzi ma non si ammolliscono; cadono fulminate ma non muoiono. Tale era Nisida, colei che fu invano amata dal giovanetto, poiché nulla valse a vincerla. Allora lui che si chiamava Posillipo, amando invano la bella donna che viveva di faccia a lui, per sfuggire a quella vista che era il suo tormento e la sua seduzione, decise di precipitarsi nel mare e finire così la sua misera vita. Decisero però diversamente i Fati e rimasto a mezz’acqua il bel giovanetto, vollero lui mutato in poggio che si bagna nel mare e lei in uno scoglio che gli è dirimpetto: lui poggio bellissimo dove accorrono le gioconde brigate, in lui dilettandosi, lei destinata ad albergare gli omicidi ed i ladri che gli uomini condannano alla eterna prigionia – così eterno il premio, così eterno il castigo.


Qui amano anche le pietre: gli uomini sani s’ammalano d’amore e gli infermi ne muoiono.


Da "Leggende Napoletane" di Matilde Serao

 
 
 

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